Premessa
Qualcuno ha detto che la matematica si può usare ed anche inventare senza conoscerne la storia, ma che senza la storia non la si può apprezzare profondamente. I numeri complessi furono un'invenzione od una scoperta? E' una domanda che si può fare per ogni prodotto del pensiero. Ad ogni modo la loro storia ci insegna che anche le costruzioni della matematica richiedono tempo per maturare. Sono il risultato dei tentativi e dei contributi di tante menti, ognuna delle quali aggiunge qualcosa fino allo sviluppo di una teoria completa. E dopo la maturazione si espandono in svariati campi. Anche la matematica è un aspetto dell'evoluzione.
Ars Magna
Sembra, ora, un gioco facile definire i numeri complessi come numeri aventi la forma algebrica a+bi, in cui a e b sono numeri reali dove i, l'unità immaginaria, è un numero tale che il relativo quadrato è -1. Sostanzialmente una coppia ordinata di reali che permette di definire ciò che nell'insieme dei numeri reali non è possibile: la radice quadrata dei numeri negativi. Ma la resistenza che gli allievi di un istituto tecnico ancora mostrano quando i numeri complessi vengono loro presentati per la prima volta è, probabilmente, il retaggio della loro faticosa e lunga gestazione. Lo sviluppo di questi numeri ha infatti richiesto circa trecento anni. Tutto iniziò, possiamo dire, nel 1545 quando Girolamo Cardano matematico, medico, e filosofo italiano, pubblicò un libro dal titolo Ars Magna. Vi era descritta una procedura algebrica per risolvere le equazioni di terzo grado.Cardano, Tartaglia e gli altri
La formula presentata da Cardano aveva in realtà già un padre. O meglio due. Scipione dal Ferro, matematico bolognese, fu il primo. Però non rese nota la sua scoperta che gli serviva per vincere le sfide tra matematici, molto in voga in quegli anni perché, oltre all'ammirazione, si poteva puntare a migliorare le proprie entrate pecuniarie. La formula fu indipendentemente riscoperta da Niccolò Fontana, più noto come Tartaglia per la sua difficoltà di parola. Il matematico veneziano del famoso triangolo, deciso a vincere una disfida con Antonio Maria del Fiore, un allievo di Scipione dal Ferro cui il maestro aveva confidato la formula, riuscì a scoprirla per conto suo. Nella disfida ciascuno dei contendenti depositava presso un notaio problemi di vario tipo. I problemi erano distribuiti a testimoni oltre che consegnati all'avversario. Una giuria di giudici scelti di comune accordo, decretava il vincitore. Non ci furono difficoltà nel caso specifico per l'attribuzione della vittoria. Tartaglia risolse tutti i problemi posti dal Fiore in due ore, mentre questi non ne risolse alcuno fra quelli posti da Tartaglia. Siamo nel 1535. Tartaglia non pubblicò la sua formula ma la confidò nel 1539 a Girolamo Cardano, nella speranza, non esaudita, di entrare a far parte del corpo accademico milanese. Cardano insieme all'allievo Luigi (o Ludovico) Ferrari perfezionò la formula e scoprì che già era nota a Scipione dal Ferro. Decise allora di pubblicarla suscitando le ire di Tartaglia che, nella sua opera "Quesiti et Inventioni diverse", lo accusò di essere venuto meno al giuramento di tenerla segreta. Le dispute che ne seguirono non ebbero esito positivo per Tartaglia che andò incontro anche a difficoltà finanziarie.Radicandi negativi
Ma torniamo all'opera di Cardano. Egli, oltre alla formula contesa, proponeva anche un problema relativo alle equazioni di secondo grado. Se si dice di dividere 10 in due parti, in modo che le due parti moltiplicate tra loro forniscano il numero 40, risulta abbastanza evidente che il problema è impossibile. Tuttavia, lo si può risolvere in questo modo. Esso corrisponde al sistema costituito dalle equazioni x + y = 10 xy=40. Sostituendo nella prima equazione y=40/x si ottiene l'equazione di secondo grado x2 - 10x + 40 = 0. La soluzione algebrica al problema esiste infatti si può scrivere

Essa può essere dimostrata in questo modo
Posto x=u+v e sostituendo si ha
.
Si risolve il sistema
ponendo
,
si ha che sono le soluzioni dell'equazione di secondo grado
la cui formula risolutiva è
da cui, per la posizione inizialmente fatta,
da cui, sostituendo,
Per l'equazione particolare x3 = 15x + 4, la formula di Cardano dava (e dà):


Bombelli "varca il Rubicone". I numeri complessi nascono
Per noi ora è facile dire che Cardano non ebbe il coraggio di accettarle, ma in lui era più forte la convinzione che cercare la radice quadrata di un numero negativo fosse privo di senso. Il legame dell'algebra alla geometria, così fecondo nel risolvere problemi, lo costringeva a pensare che era inutile cercare il lato di un quadrato inesistente. Non ebbe l'ardire del genio che comprende di essere giunto in una terra di confine e che quello era il segnale che indicava l'inizio di un nuovo mondo. Che fosse sufficiente lasciare semplicemente indicata la radice quadrata del numero negativo e procedere con le comuni regole dell'algebra, come già lo stesso Cardano aveva fatto nel primo problema, è ciò che fece, un paio di decenni dopo, Raffaele Bombelli, un ingegnere idraulico. Con la pubblicazione della sua Algebra nel 1572, opera che in realtà egli aveva completato già nel 1560, Bombelli ritenne che la formula di Cardano aveva validità generale semplicemente supponendo che numeri della forma





I numeri complessi crescono
Fu il loro ingresso nella matematica favorito dalle idee di Bombelli, che indusse Albert Girard, che nel 1629 pubblicò "Invention nouvelle en l'algèbre", ad ammettere l'esistenza di radici negative, nello stabilire le relazioni esistenti tra i coefficienti e le radici di una equazione. Sembra sia anche da attribuire a lui l' affermazione che un'equazione dovesse avere un numero di soluzioni uguale al suo grado, proprio tenendo conto delle misteriose radici quadrate. Un'anticipazione del teorema fondamentale dell'algebra. Cartesio definì questi numeri, "immaginari". Perché, anche se si poteva "immaginare" che ogni equazione avesse tante radici quante il suo grado, i numeri reali non potevano corrispondere alle radici immaginate. Leibniz oltre che applicare le leggi dell' algebra ai numeri complessi, li usò come sussidi di integrazione. Cosa che fece anche Johann Bernoulli. D'Alembert li impiegò nei suoi calcoli di idrodinamica e tentò, come Eulero e Lagrange di dimostrare, con il loro ausilio, il teorema fondamentale dell'algebra, che afferma che ogni equazione polinomiale di grado n con i coefficenti complessi ha n radici nel campo dei nei numeri complessi. Eulero per primo diede alla radice quadrata di -1 il simbolo i e De Moivre con la sua formula collegò i numeri complessi alla trigonometria. Gauss fu il primo a pubblicare la prova corretta del teorema fondamentale di algebra nella sua tesi di laurea di 1797. Ma anch'egli in un primo tempo pensò che era metafisica considerare la radice quadrata di -1. Dal 1831 Gauss superò definitivamente la sua diffidenza verso questi numeri, pubblicando il lavoro sulla loro rappresentazione geometrica come punti del piano. Wessel, un ispettore norvegese, nel 1797 e, nel 1806, Argand, un impiegato svizzero ottennero risultati simili a Gauss, ma furono ignorati per molto tempo. Gauss, pur non avendoli ma resi noti pubblicamente, aveva annotato in un libretto di appunti parecchi teoremi sulle variabili complesse. Ma fu Cauchy a pubblicare, fin dal 1814, articoli sempre più consistenti e numerosi sul Journal dell'Ecole Polytechique e sulle pagine dei Comptes Rendus dell'Académie sulla teoria delle funzioni a variabile complessa. Mentre è agevole rappresentare graficamente una funzione di variabile reale, in quanto necessita di due dimensioni, non è possibile farlo con le funzioni di variabile complessa che richiedono quattro dimensioni. La mancanza di un supporto visivo rende difficile rappresentare ad esempio il concetto di derivata in un punto che per le funzioni di variabile reale corrisponde alla tangente alla curva in quel punto. Se da un lato questo può rappresentare una difficoltà, dall'altro la necessità di un grado di astrazione maggiore comporta l'esigenza di una più precisa definizione dei concetti. Ed il lavoro do Cauchy impresse il dovuto rigore al nuovo ramo della matematica. I numeri complessi e la teoria delle funzioni analitiche divennero utile in varie discipline, dalla geometria alla teoria dei numeri, dall'elettrotecnica alla meccanica quantistica. Ciò che si credeva impossibile, fittizio e "immaginario" divenne una realtà. Fu Hamilton a definire i numeri complessi come coppie di numeri reali (a,b) nel 1833. A cose fatte sembrerebbe che per arrivare a questa definizione trecento anni siano molti, abituati come siamo alla vertiginosa velocità dei progressi tecnologici del nostro tempo.
L''evoluzione della natura ha tempi lunghi e forse anche l'evoluzione della mente, specie quando deve aprirsi ad orizzonti completamente nuovi, ha tempi che sfuggono ad una previsione.Riferimenti bibliografici e sulla rete
- “Storia della Matematica” di Carl B. Boyer ed ISEDI
- Complex numbers
- Storia delle equazioni
- http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale