Da quasi un anno ho dismesso gli abiti del pendolare e ritrovarmi in stazione, in attesa del regionale per Milano, risveglia in me alcune sensazioni del tipo "già vissuto", déjà vu: il ritardo del treno, le carrozze a temperatura variabile e stipate all'inverosimile... Ma so già che la percorrenza ferroviaria la vedrò limitata soltanto ad alcuni giorni, pertanto posso sopportare. Come tutti i lunedì mattina, in sala d'attesa i discorsi sulla domenica calcistica (quasi del tutto) conclusa, a meno degli strascichi dell'ennesimo posticipo, non mancano. Anch'io e Giuseppe si commenta il bel gol di quel giocatore e dell'azione magistrale che ha portato quella o quell'altra squadra al vantaggio. Il treno è annunciato, si va in banchina e si attende l'arrivo del convoglio, in questo fredda mattina di gennaio. Intabarrati nelle calde giacche speriamo di poter accedere ad una carrozza calda e soprattutto con qualche posto a sedere. Giuseppe di solito resta in piedi, dopo un paio di fermate smonta dal regionale e salta sul suburbano, così resto da solo e sfilo il tablet dallo zainetto, cercando di ingannare il tempo.
All'arrivo a Milano, mi porto sul tram che mi porterà al porto, dove il battello mi sta aspettando; anche questa mattina vedo tante facce note: gli studenti che ripassano scienze e storia, l'impiegata con la telefonata alla figlia, l'addetto alle pulizie che si prepara a scendere qualche fermata prima della mia. A metà della corsa faccio una tappa per cappuccio e cornetto con Gabriele. Non ci si vede dall'estate e quindi ne approfittiamo di questi 15 minuti per un momento conviviale, poi si risale sul tram.
Giunto al porto scendo dal tram e mi trasferisco in sala d'attesa. I battelli sono due, uno da 14+1 posti e l'altro da 6+1 posti (il "+1" è il posto del comandante). Normalmente le autorità portuali fanno salpare prima quello grande, cosicché salgo sempre su quello più corto. Mancano 20 minuti alla partenza e i miei compagni di avventura stanno pian piano arrivando. Il signor Giuseppe è già arrivato, non sono il primo. Man mano che giungono tutti gli altri, intravedo la luce dell'alba rischiarare il cielo di fuori. "Buongiorno, Paolo". Il comandante Fabio, chiamato bonariamente il capitano Nemo, è arrivato. "Buongiorno capitano", gli rispondo io. Dopo il rapido saluto giunge la voce del sottufficiale addetto all'imbarco: ci chiama uno per uno, ci consegna la chiave degli armadietti e ci portiamo negli spogliatoi. L'abbigliamento richiesto prevede che ciascuno di noi indossi un particolare camice e calzari specifici. Il tutto sopra gli abiti ordinari. Dopo la vestizione, sfilo rapidamente il mio libro dallo zainetto, chiudo a chiave l'armadietto e mi porto all'imbarco. Il battello è lì, con il portellone spalancato. L'addetto al controllo è già al suo posto, davanti ad una plancia di comando a terra; lo saluto e mi imbarco.
Subito dietro di me arrivano e si accomodano anche gli altri: la signora Maria Grazia, il signor Giuseppe, Alberto, Alfhonse (di origini congolesi), Attilio e Diana. Tutti a bordo, manca solamente il comandante. Lo intravedo: si è soffermato a scambiare due parole con il personale di terra e con il suo collega che comanderà il battello nel giro successivo; raccoglie i documenti necessari alla navigazione e sale anch'egli a bordo. Immediatamente dietro di lui fa capolino il controllore delle manovre da terra che si informa: "Avete tolto orologi, accendini, cellulari...?". Tutti annuiscono. "Allora buon viaggio!", dice infine e chiude il portellone dall'esterno, assicurandolo con le quattro maniglie a disposizione.
Dopo qualche istante giunge una voce dall'interfono: "Comandante, mi riceve?". "Forte e chiaro!", risponde il capitano Nemo. "Inizia la compressione", annuncia il tecnico. Stiamo salpando, per l'esplorazione di questi imperscrutabili mari di Milano...
La compressione è una manovra delicata e va effettuata la compensazione, come quella dei sub: chiudere la bocca, tapparsi il naso e soffiare nel naso per compensare la pressione esterna con quella interna all'orecchio. Chi non fa questa manovra rischia danni seri al timpano oltre che avvertire un forte dolore, man mano che la quota di profondità va ad aumentare.
Il comandante è una persona simpatica, ama parlare con noi senza mai perdere la sua professionalità. Sa bene quale è la sua responsabilità e quando coordina le manovre lo fa con estrema concentrazione. Il manometro indica che la pressione è quella dei 6 metri ed ecco puntuale la chiamata dall'interfono: "Indossare le maschere!". Il capitano Nemo si alza dalla sua postazione e aiuta ciascuno di noi ad indossare la propria maschera. Io sono il primo, il mio sedile è accanto a quello del comandante. La posizione è "strategica": discreta illuminazione e vista sull'esterno attraverso l'oblò. Con la maschera indossata apro il libro e mi immergo nella lettura di "Failure is not an option" di Gene Kranz, già direttore di volo alla NASA negli anni delle missioni Apollo, quelle della Luna. Intanto il comandante sta aiutando tutti ad indossare la propria maschera. Attilio non la può indossare: respira attraverso un dispositivo posto sulla trachea.
Curioso come stia leggendo un libro di missioni spaziali, trovandomi sotto il livello del mare, a Milano...
I minuti trascorrono c'è chi come me legge e chi invece dorme. Il viaggio è ancora lungo; siamo giunti alla quota di 15 metri sotto il livello del mare e stiamo navigando senza intoppi. Concentrato nella lettura quasi non mi accorgo che la prima parte del viaggio è ultimata, sono passati 45 minuti dall'imbarco e la solita voce alla radio annuncia che si devono levare le maschere. Il comandante ci aiuta a liberarci delle maschere e, dato che abbiamo cinque minuti di attesa, ne approfitta per scambiare due parole. Di solito il discorso verte sui vari menu di pranzi e di cene, con riferimento alle feste natalizie appena trascorse. Il comandante resta in piedi, cinque minuti passano davvero rapidi e ci ritroviamo a indossare nuovamente le maschere.
La pausa mi ha permesso di sgranchirmi un po' le gambe ma se non riprendo a leggere, i secondi 45 minuti rischiano di non passare più. Poco dopo il comandante mi si rivolge: "Legge ancora lo stesso libro della settimana scorsa". "Sì", rispondo e glielo porgo così che ci possa dare una scorsa. Sembra incuriosito, così mi chiede della mia passione per le missioni lunari e quanto ci ruota attorno. I minuti passano lentamente e terminata la chiacchierata con il capitano Nemo riprendo la lettura. Sono così concentrato che l'annuncio da terra mi fa sobbalzare "Iniziamo la risalita!". Bene, ancora 15 minuti. In questa fase la decompressione comporta un sensibile abbassamento della temperatura all'interno del battello. Possiamo sperimentare sulla nostra pelle la legge dei gas.
In risalita la compensazione è più semplice, ma bisogna eseguirla ugualmente. A 6 metri di quota finalmente il tecnico a terra annuncia via radio che si possono levare le maschere. Chiudo il libro, ormai manca davvero poco e si sbarca. Finalmente siamo tornati in porto: il tecnico manovra le maniglie di sicurezza e spalanca il portellone. All'uscita l'infermiera attende Attilio per accompagnarlo verso lo spogliatoio e poi sull'ambulanza. "Buona giornata", dice il dottor Fabio. "Ci vediamo domani". Per un'altra avventura negli imperscrutabili mari di Milano...
Ringraziamenti
Ringrazio sentitamente gli amici admin e carlomariamanenti per le splendide vignette che compaiono in questo racconto. Grazie!