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Sodio Na

Stringo gli spallacci dello zainetto mentre percorro la moquette blu cobalto che ricopre il lungo corridoio verso il controllo passaporti. L’idea iniziale sarebbe stata quella di camminare a passo spedito per cercare di abbreviare la coda alla dogana, ma le gambe rimaste pressoché immobili durante il lungo volo non ne sono molto convinte. Raggiungo l'area destinata agli ingressi rapidi ma l’agente doganale mi informa che i lettori di impronte digitali per l'accesso mediante Immigration Card oggi sono fuori servizio e mi invita quindi a procedere con un ingresso standard, questa si chiama sfortuna.

Mi metto diligentemente in coda circondato da una moltitudine di persone; costretti nel lungo percorso a zig zag, i più trafficano con il proprio telefono portatile, immagino ad avvisare del proprio arrivo, qualcuno invece compila sul filo di lana il modulo doganale. Dietro di me una mamma ha il suo bel da fare per cercare calmare i suoi due piccoli che per troppo tempo sono stato costretti a bordo senza poter correre liberamente.

Guardo la lunga coda verso i gate, immagino un identico scenario al piano inferiore per la dogana dei bagagli; ci sarà probabilmente coda anche per noleggiare l’auto che puntualmente non ho prenotato per mancanza cronica di tempo; lo scenario che si prospetta non è sicuramente dei migliori. Cerco di capire di capire quanto tempo impiegherò per raggiungere le porte di accesso, contando in modo approssimativo il numero di persone che compongono ogni singolo tratto del serpentone, quando ecco l'insapettata sorpresa: due tornanti davanti a me vedo un volto che ha qualcosa di famigliare: non ci posso credere, è proprio lui, Sodio.

Sodio è un carissimo amico di Napoli, ex collega con il quale ho condiviso non poche avventure qua e là in giro per il mondo. All’anagrafe Matteo Rossi, Sodio è laureato in chimica anche se di professione fa il commerciale; un chimico nato a Napoli, è da questi due particolari che è nato il suo soprannome: Sodio Na. La prima volta che lo incontrai fu nel parcheggio dell’Azienda dove stava scaricando alcuni volumi di chimica da un’improbabile station wagon targata NA; fu amicizia al primo incontro.

Ora lo chiamo al telefono e gli faccio uno scherzo, è da tantissimo tempo che non ci vediamo:

“Pronto, pronto, chi parla?”

“Matteo, sono io, Carlo”

“Ueh Carlo, quanto tempo, come stai? Cosa ci fai alzato a quest’ora?”

“Bella domanda Matteo, sono ancora sveglio perché ti sto tracciando”

“Mi stai tracciando? Ma che cavolo dici?”

“Si si, ti sto tracciando, ora per esempio so che sei in coda alla dogana passaporti al JFK di New York e in questo preciso istante dalle telecamere vedo che hai una giacca beige e che ti stai grattando il naso”

“Ueh, ma chessei diventato? O spione?”

“No No, faccio sempre il mio lavoro, semplicemente mi sto divertendo con questa nuova tecnologia”

“Lo sapevo, tu sei terribile, non riesci mai a stare fermo”

“Matteo, sei un pescione, voltati alla tua sinistra e cercami: sono qui, due tornanti dietro di te”

“Maronna che sorpresa, mi ha fatto fesso”

“Matteo, dove vai di bello? Hai una coincidenza, c'è qualcuno che deve venirti a prendere o riusciamo a berci una birra?”

“No No, nessuna aereo o appuntamento, ci vediamo di sotto a prendere i bagagli così poi ci beviamo una bella birra insieme”


E' un'estate particolarmente calda, la radio gracchia ad alto volume Born to be alive di Patrick Hernandez, le manopole del calcetto scivolano tra le mani sudate mentre le urla per gli sforzi e per il tifo si propagano in tutta la canonica.

GrEst 1979, don Fulgenzio entra nel bar dell’oratorio tutto sudato indossando il suo sottanone di flanella, le guance paonazze ricordano i tini del vino colmi di mosto durante la vendemmia autunnale e il riporto dei capelli penzola sulla guancia sudata come un tergicristallo impazzito; con un balzo degno di un guerriero ninja vola al di là del bancone, spegne la radio e lancia un urlo che ha poco dell’umano, il tempo si ferma, tutti rimangono immobili mentre la pallina del calcetto rotola sino ad entrare in porta per poi sparire ingoiata nel ventre del tavolo con un gorgoglio sordo.

“macheètuttoquestobaccabochenonsiriesceapregarenemmenoinchiesa!”

Il bloomin onion è molto piccante e ben si sposa con la birra gelata che sorseggio a piccoli sorsi mentre seduto su di un comodo divano sono rapito dalle avventure del mio ritrovato amico. Il locale è pieno di viaggiatori, in sottofondo una telecronaca sportiva alla TV continuamente interrotta da annunci di voli. Il fuso orario incomincia a farsi sentire, devo ancora recarmi al noleggio auto e devo ancora telefonare per prenotare una camera ma non importa; ci penserò dopo.

Matteo è sempre lo stesso, con il suo fisico asciutto scompare completamente dentro una delle sue famose ed improponibili camice Hawaiane; “fanno molto Magnum PI” mi dice, sorride mentre mi racconta di essersi iscritto in palestra per fare culturismo ed aumentare così la sua massa muscolare, invece il personal trainer che gli hanno assegnato lo ha subito dirottato con un gruppo di anziane signore per fare ginnastica dolce di mantenimento.

“A proposito di fisico, come sta tuo fratello? E’ ancora in giro per mare?”

“Ah, Marco, si si ‘U Cabblatore’ è sempre in giro … sta bene, sta bene, ha avuto un’altra bambina anche se a causa del suo lavoro gli riesce poco di rimanere in famiglia”

“Allora è sempre comandante di navi?”

“Si, è sempre a spasso per il mediterraneo, l’ultima volta che lo ho visto saranno stati ..., dunque, vediamo, era prima di Natale … si circa 6 mesi fa”.


Lo sguardo di don Fulgenzio mette quasi paura, fissa tutti con gli occhi spiritati mentre la palpebra sinistra trema nervosamente. In un fiato inspira tutta l’aria del mondo, si trattiene un attimo e poi un sospiro liberatorio di sollievo. Lo sguardo si rasserena ed eccolo nuovamente sorridere mentre alcune gocce di sudore gli scivolano sulla fronte; estrae da sotto il sottanone un fazzoletto a fiori delle dimensioni di un lenzuolo e si asciuga la fronte prima di soffiarsi il naso.

Ora si è completamente calmato, qualcuno accenna un sorriso come per cercare di minimizzare il misfatto, ma don Fulgenzio si fa nuovamente serio come a smorzare qualsiasi entusiasmo: lui ha perdonato il peccato ma non i peccatori.

“Ora vi voglio tutti in Chiesa, tutti in fila e tutti in silenzio che ho deciso di confessarvi prima della Santa Messa, e non vi venga in mente di scappare chissà dove o di ricominciare a fare cagnara altrimenti il perdono sarà divino ma la punizione no”.

Buon ultimo Marco si appresta ad avvicinarsi al confessionale, dalla grata socchiusa la voce di don Fulgenzio che rimbomba nella chiesa vuota: “Muoviti, muoviti, non fare il furbo, so bene che stai perdendo tempo”

“Perdonami Padre, perché ho peccato”

“Si si, peccato, e che cosa è questa: è l’ora degli eufemismi? Su forza dimmi, cosa hai combinato di nuovo?”

“Beh, si, ecco, ho una cosa un po’ grave da confessare don Fulgenzio”

“Dimmi, non avere paura di parlare, sarai perdonato”

“Ecco, si, insomma … vabbé glie lo dico: Padre, io ho cabblato”.

Il silenzio della chiesa oramai vuota fa da eco alle ultime parole pronunciate, i granelli di polvere che giocavano svolazzando attraverso i raggi di sole proiettati dal lucernario si fermano in aria, immobili, anche le lancette della cipolla di don Fulgenzio si sono fermate per un istante mentre il povero prete si posa lentamente le mani sul volto e si inchina in una genuflessa preghiera sottovoce.

Marco fa fatica a trattenere le risa mentre il povero Parroco solleva nuovamente il viso e risponde con un tono di rimprovero:

“Ma come hai cabblato, questa è una cosa gravissima!”

“Padre, non potevo farne a meno, si insomma non potevo proprio … mi hanno costretto”.

“Povero figliolo, per te nessuna penitenza … hai già sofferto così tanto, ora vai a casa, rilassati, cerca di dimenticare”.


Adoro il bloomin onion come lo preparano a qui New York, è molto meno unto di quello tradizionale che cucinano negli stati del sud, si riescono a staccare gli spicchi con le mani senza ungersi. Bloomin onion con salsa piccante e una buona birra gelata, è la morte sua.

“Ah, e così è sempre a spasso quel disperato di tuo fratello?”

“Si, ora ‘u comandante è in crociera un giorno si e un giorno si, se consideri che anche io sono sempre in giro per il mondo potrai facilmente capire come mai non riusciamo più a stare insieme; però devo dirti che mi manca ... e tu Carlo, dove vivi ora?”

“Io in Italia, ho smesso di girare come una volta ... mentre tu abiti ancora in Francia vero?”

“No, non più, ora mi sono trasferito in Belgio, lo sai che non riesco mai a rimanere in un luogo molto a lungo”

“E non pensi mai ti ritornare a Napoli, di ritornare a Casa?”

“A Casa? Maronna come sarebbe bbello, mi manca il sole, mi manca il chiasso dei ragazzini che giocano per strada, mi manca la pizza come la facciamo noi ... non hai idea di cosa non farei per trovare un lavoro che mi permettesse di ritornare”

Sono passati oramai alcuni giorni dall’apertura del GrEst, e don Fulgenzio trasformato ora in arbitro, ora in cuoco, ora in calciatore non ha mai smesso di osservare Marco, è preoccupato; è molto preoccupato.

“Ciao Marco, cosa fai qui seduto? Non vai a giocare a calcio con gli altri?”

“No, oggi sono stanco, preferisco starmene qui all'ombra a riposare”

“Marco non devi fare così, devi reagire, devi svagarti, ti devi distrarre ... a proposito, ripensavo a quanto mi hai raccontato”

“Di che cosa parla Don Fulgenzio”

“Su, Marco, non fare finta di non capire ... si insomma, mi hai confessato di aver cabblato”

“Si, è vero”

“Ma quante volte lo hai fatto? Quante volte”

“Padre, sarà oramai un anno che lo faccio almeno una volta alla settimana”

“Un anno!?”

Don Fulgenzio si mette le mani nei capelli.

“Un anno e me lo dici solo ora?”

“Cosa devo fare, non ci avevo mai pensato”

Don Fulgenzio si alza di scatto e si allontana borbottando: “un anno dico, è un anno che va avanti sta storia … non ci aveva mai pensato, un anno ...”


Matteo estrae un pad dallo zainetto:

“Guarda Carlo, guarda che spettacolo, queste sono le foto che mi ha inviato Marco; ma ti sembra che questa creatura possa essere sua figlia?”

“Hai ragione Matteo, è veramente una bellissima bambina”

“Si, glie lo ho detto pure io, è troppo bella per essere tua ... chista é a figghja ‘o rammariello”

“A figghja ‘o rammariello?”

“Si, come dite voi, è la figlia dell’idraulico, capirai, è bionda e con gli occhi azzurri ...”

“Matteo, non cambierai mai; ordiniamo dell’altra birra”

Il passo spedito fa dondolare la ciocca di capelli sudati sulla guancia di don Fulgenzio lungo il cammino che lo porta alla casa di Marco.

“eccoci qua“

Una rapida mossa con la mano per ricomporre la chioma, una scrollata al sottanone per rimuovere la polvere ed è tutto nuovamente in ordine.

“Eccolo, il campanello è questo”

“Si chi è?”

“Buona sera, son don Fulgenzio”

“Don Fulgenzio, che sorpresa, salga salga che ho appena preparato ‘o café”

Il caffè è caldissimo così come la tazza che lo contiene, don Fulgenzio lo ingurgita tutto di un fiato e la bevanda bollente non fa altro che aumentare la sensazione di calore: sarà per tutti i gradini delle scale appena percorsi a due a due, sarà per l’agitazione del momento o forse più semplicemente perché è estate e fa molto caldo ma don Fulgenzio è un lago di sudore e il pesante sottanone certo non aiuta molto in queste situazioni.

Il Padre di Marco osserva il parroco seduto sul divano e gli chiede con sguardo preoccupato:

“Don Fulgenzio, si sente bene? Posso fare qualcosa?”

“No no, tutto bene, sono io che vorrei fare qualcosa per lei”

“Mi dica, mi dica, cosa è successo?”

“Sono qui per Marco”

“Marco? Marco è in oratorio, non gli sarà mica successo qualcosa? Sta bene vero?”

“Si si, per star bene sta bene, ma c’è qualcosa che vorrei dirle”

“E’ grave, ha fatto qualcosa di grave?”

“Mi lasci parlare la prego, quello che sto per fare non è bello: il segreto del confessionale è una cosa seria.”

Il Padre di Marco si alza dalla sedia, si avvicina e si siede sul divano alla destra di don Fulgenzio.

“Si insomma, il segreto è un segreto, ma io non posso tacere una cosa così grave”

“Mi dica Padre, di che cosa si tratta?”

“Così però non mi aiuta, gli avevo chiesto di non interrompermi, dove eravamo? Ah si, il segreto, insomma suo figlio, suo figlio ... si ecco, suo figlio mi ha confidato che cabbla, anzi cabbla e anche spesso, ma però non credo sia tutta colpa sua perché mi ha poi confidato che lui è stato costretto a cabblare”

Il Padre di Marco si piega su se stesso ed incomincia a ridere, prima cerca di trattenersi e poi come un sasso che rotola in discesa ride sempre più forte così da non riuscire trattenere le lacrime mentre don Fulgenzio guarda stupito il comportamento dell’uomo.

“Si calmi, si calmi, perché ride? Forse non ha capito ma suo figlio cabbla!”

“Eccerto che cabbla, e si capisce, cchi addà fa? Isso studia da elettricista”

“Elettricista? E checcentra?”

“L’eletricista, ‘o cabblatore, chillo che cabbla, che collega i fili elettrici”


Anche la seconda birra è terminata, si è fatto tardi e dovrò lasciare il mio amico al suo viaggio per recarmi al noleggio auto.

“Matteo, allora ti saluto, mi raccomando: non aspettiamo ancora tutto questo tempo per incontrarci di nuovo”

“Vabbuò ti saluto pure io, la prossima volta che ritorno in Italia ti faccio uno squillo e ti vengo a trovare”

“Ok, ciao Matteo alla prossima; e mi raccomando: salutami Marco quando avrai occasione di sentirlo”


Il GrEst del 1979 è passato alla storia, la leggenda vuole di un ragazzo studente di elettrotecnica che fece impazzire il suo Parroco per una intera estate perché gli confessò di aver peccato di cablaggio.

Ma forse, come ogni leggenda che si rispetti anche questa ha un fondo di verità: lo dimostra la vecchia ammaccatura della porta del bar dell’oratorio, causata si narra da una bottiglia di gazzosa lanciata da don Fulgenzio a colpire qualcuno che si era preso gioco di lui.

Consegno la carta di credito per confermare la camera in hotel, penso a Sodio, alle sue storie e sorrido, la signorina al desk mi osserva incuriosita, mi riconsegna la carta con le chiavi della camera, ringrazio, la saluto e mi allontano ridendo.

“Eccerto che cabbla, e si capisce, cchi addà fa? Isso studia da elettricista”

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Commenti e note

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Grazie Pietro per l'apprezzamento, anche se temo che l'aggettivo orig(en)inale sia un poco immeritato :-)

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di ,

Non avevo ancora avuto modo di inserire un commento all'articolo. Come sempre posso confermare che i tuoi racconti siano sempre più spassosi. Mi sono piaciute molto le dislocazioni temporali alla Tarantino. Bello e orig(en)inale !

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di ,

@ grandegiove, sono contendo che la "sorpresa", benché sia poca cosa, ti abbia comunque divertito. Ricambio l'abbraccio a te e alla tua Famiglia!
@ Paolino, grazie Amico mio.
@ marco438, uno ogni mattina ... caro Marco, sarebbe bello riuscire a trovare il tempo per scriverne ogni tanto ... grazie per l'apprezzamento.
@ sebago, demonio di un Sebastiano ... a te non sfugge proprio nulla; Grazie per esserti accontentato comunque.
@ Guerra, grazie Riccardo 'o lettore.
@ mir, grazie caro Mariano, sei troppo buono ... quasi come la tua birra ;-)
@ badilant, JFK, sicuro al 100%, non ricordo se fosse un corridoio di imbarco/sbarco che da accesso agli hubs o se fosse proprio l'area di imbarco/sbarco che da accesso ai gates ... ma di sicuro mi ricordo la moquette blu cobalto. Credo di avere anche scattato anche delle fotografie a memoria dell'evento: andrò a controllare e ti farò sapere ... grazie anche a te Caro Ivan per l'apprezzamento.
@ admin, un doveroso ringraziamento anche a te Zeno, uomo di pazienza smisurata.
Nota: Questa volta ho voluto provare a scrivere questo breve racconto utilizzando differenti piani temporali, volevo provarci e sfortunatamente lo ho fatto; ma purtroppo temo che l'esperimento non sia proprio riuscito. Non me ne abbiate :-)
Alla prossima qua e la nel tempo, -carlo.

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di ,

Bellissimo Carlo. Toglimi una curiosità, Newark o JFK? Perché la moquette blu cobalto non la ricordo proprio. Sarà perche riprendo conoscenza e consapevolezza di me stesso, più o meno solo al controllo passaporti. I miei complimenti ancora. Ciao.

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di ,

Piacevole e divertente come sempre, lo dico da tempo : carlomariamanenti una firma una garanzia di piacevole lettura :) . Grazie ed al prossimo (spero presto) racconto. PS. quando riceve Don Fulgenzio? ...sai avrei cablato ... :)

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di ,

Carlo 'o narratore

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di ,

Stupendo, come al solito! Epperò, quei cinque mancanti.. vabbeh, pazientiamo e ringraziamo lo stesso.

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di ,

Leggere i tuoi racconti, rallegra lo spirito; ce ne vorrebbe uno ogni mattina. Grazie Carlo

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di ,

Davvero spassoso, come sempre!

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di ,

Una chicca inaspettata per iniziare la giornata con un sorriso. What else? Grazie Carlo. Un abbraccio. "Eccerto che cabbla!"

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