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Prologo
“Tutto, tranne gli errori di ortografia e punteggiatura, è …c-copiato!”.
Con queste parole il prof. di lettere mi riconsegnò il quaderno dei temi per casa.
Frequentavo la prima media e fu una sorpresa che mi annientò.
Invece dell'elogio immaginato, echeggiarono nell'aula suoni di disprezzo.
Erano emessi dalla bocca di un volto che, attraversato da occhiali scuri e deformato da incomprensibile ira, fuoriusciva dal grigiore del vestito insieme alle tozze mani che mi restituivano il quaderno dalla copertina rigida marrone.
"Questa non è farina del tuo sacco..!", proseguì.
Presi il quaderno e lo appoggiai sul banco a testa bassa mentre i miei occhi si inumidivano.
”Parlate del fatto che ha provocato in voi il più grande dolore”.
Quando il prof. dettò questo titolo, ebbi un brivido.
Era la richiesta precisa dell’episodio che aveva segnato la mia estate un paio d'anni prima.
Possedevo da due anni una cagnetta
Le minute dimensioni mi colpirono la prima volta che la vidi. Accentuavano la rapidità dei movimenti della piccola testa bianca, mentre le corte zampe descrivevano cerchi furiosamente allegri sulla terra battuta del cortile dei vicini.
Improvvisamente si fermò, fissandomi con gli occhi scuri e, in un sussulto, riconobbe in me colui cui avrebbe consegnato la sua vita.
Lo sguardo acuto e tenero mi comunicò la volontà di stringere un'amicizia assoluta.
Descrissi a mamma l'incontro.
Lei sentì nelle mie parole più di un semplice racconto e chiese ai vicini, in dono per me, la cagnetta.
Fu un regalo immenso.
Trovai in Lila, era questo il suo nome, una compagna di giochi unica.
Per me correva, saltava, faceva capriole. Viveva per me. Mi aspettava sempre e quando si faceva scuro ed io tardavo (mi piaceva aspettare il buio per accendere il fanale del mio biciclettino azzurro, un Torpado n.18), cominciava a fremere e guaire. Scrutava l'oscurità trattenendo il respiro, e non appena intravedeva lontana la luce del fanale, si catapultava sulla strada ghiaiosa. Con una corsa esplosiva mi si gettava incontro, accompagnando il rientro con balzi e torsioni aeree. Giocava con me fino a sera tarda, allegra per la risposta positiva alle domande mute della precedente attesa. Uno dei giochi preferiti era nascondino e lei mi trovava sempre, sempre con identica gioia.
Venne quell'estate
Da tempo in casa si parlava di un viaggio ad Aosta dove vivevano le sorelle di papà e dove papà aveva trascorso i primi anni del dopoguerra lavorando “alla Cogne”.
Papà e mamma parlavano del treno e delle montagne grandi con la neve, ed io sognavo e desideravo quel viaggio.
Ma sotto il desiderio avvertivo un invincibile disagio.
Come avremmo fatto con Lila?
Avrei voluto portarla con me, ma non son cose, queste, che possono decidere i bambini. Rinunciare al viaggio o fare storie non volevo e nemmeno lo desideravo: troppo belle erano state le gite con mamma, specialmente quella sul Lago Maggiore all'Isola Bella.
Ma il pensiero di Lila sola mi corrodeva le fantasie sulla nuova avventura.
Gino,la Gelsina, Bepe e la Maria ( i Ciuzìn ) offrivano la loro assistenza. Sapevo che sarebbe stata attenta e premurosa. In particolar modo quella di Gino che mi aiutava a giocare a nascondino con Lila. Ma Lila sarebbe rimasta senza di me per un tempo lungo: due settimane.
Come avrebbe potuto capire la mia assenza?
Chi poteva spiegargliela?
Come avrebbe fatto a misurare il tempo, a contare i giorni che la separavano dal mio ritorno?
Come poteva comprendere che ci saremmo rivisti ancora?
Per lei lo scorrere del tempo non c'era. Per lei il giorno, ogni giorno, era un assoluto da vivere intensamente, senza attese che si prolungassero oltre la luce del sole.
La soluzione migliore però sembrò quella di affidarla alla nonna.
Per non creare problemi ai Ciuzìn, ma anche nella convinzione che si sarebbe trovata bene. Cani ce n'erano sempre stati con il nonno cacciatore, e c'era lo spazio per le frenetiche corse di Lila. Non ci sarei stato io a provocarle, ma mi convinsi che nonna, nonno, e zio Bino sarebbero riusciti a farle capire che non l'avevo abbandonata, che sarei tornato e che il nuovo incontro sarebbe stato emozionante ed intenso come e più del primo.
Non valutammo adeguatamente il carattere di Lila e le sue possibili decisioni per comprendere il cambiamento del suo ambiente.
Partimmo per Aosta
Fu un viaggio denso di immagini e di emozioni.
La stazione di Milano con i grandi archi d'acciaio.
La locomotiva a vapore che segnava il tragitto con il pennacchio di fumo che s'inerpicava in cielo.
Il raggrinzarsi della pianura nell'avvicinamento alle montagne.
La misteriosa forza attrattiva delle gallerie. Feci l'intero viaggio con la testa fuori dal finestrino. La potente massa d'aria mi avvolgeva il viso aggredendomi il respiro. Aspettavo, desiderandolo e temendolo, l'ingresso tagliente nelle gallerie. Speravo fossero lunghe da non intravedere subito l'uscita.
Mi concentravo sulla linea dei vagoni ora diritta ora sinuosa.
Controllavo il camino della locomotiva e studiavo le evoluzioni del fumo.
Affrontavo il brivido dello stridore della frenata sui binari.
Assorbivo gli sbuffi di vapore del faticoso ripartire.
Arrivammo ad Aosta
Avevo la faccia annerita ed i capelli pieni polvere di carbone.
Le zie sorrisero ma io avevo appena completato il mio viaggio più lungo e più intenso.
Vidi cose belle.
Costruzioni degli antichi romani.
Cime grandi e la neve d'estate.
Vissi avventure particolari come quando arrivò il circo Togni. Mi fecero lavorare all'installazione del telone e delle gradinate insieme al cugino Gianfranco e a una decina d'altri bambini. Alla fine mi timbrarono un braccio.
Mostrai il timbro a mamma raccomandandole di non lavarlo. Mi sarebbe servito la sera stessa per entrare gratis allo spettacolo del circo Togni, un circo che nel nostro piccolo paese non sarebbe mai arrivato.
Sorrise, ed anche le zie. Ma alla sera al circo entrai proprio gratis.
Ma non c'era giorno in cui riuscissi a non pensare a Lila.
Avrei voluto sapere come trascorreva i giorni, se aveva capito il motivo della mia assenza, se mi aspettava tranquilla, se stava bene.
Una linea d'ombra nei pensieri faceva crescere il desiderio ed il timore del ritorno.
Arrivò il giorno del ritorno
Mi divertii certamente sul treno che svolgeva al contrario i paesaggi dell'andata.
Ma non so dire cosa sia rimasto nella mia mente, invasa dal pensiero che avrei incontrato Lila e saremmo stati di nuovo insieme.
Mi avrebbe riconosciuto?
Certamente, mi rispondevo, e mi avrebbe rivolto un muto rimprovero per la lunga assenza che l'aveva costretta ad una solitudine inaspettata. Ma sarebbe stato un attimo: la felicità mia e sua di rivederci avrebbe cancellato i giorni del distacco e di essi non sarebbe rimasta traccia nelle corse e nei salti di quel batuffolo di pelo bianco.
"Sì,proprio così sarà", ripetevo mentalmente, mentre la locomotiva sbuffava.
La linea d'ombra però non era scomparsa.
Il viaggio l'aveva affievolita, e quando scesi alla stazione di Sermide, dove zio Bino ci ricevette sorridente, sembrò dileguarsi.
Avevo avuto preoccupazioni strane ed esagerate, pensavo.
Già a quell'età avvertivo l'angoscia di non essere padrone della mia vita. Tutto avveniva ed avviene autonomamente, secondo un disegno sconosciuto, o assolutamente casuale. Io ero già una foglia nel vento che sperava solo in un trasporto senza lacerazioni.
Non so se chiesi immediatamente come stesse Lila. E' probabile che volessi dimostrarmi uomo (ma chissà cosa significa questo).
Arrivammo in pochi minuti a casa della nonna.
I miei occhi cominciarono subito a frugare la presenza di Lila.
Il mio corpo teso attendeva di percepire le vibrazioni dei suoi movimenti, pronto a scattare, al suo apparire, in una abbraccio liberatorio.
Strano che non fosse nei paraggi.
Era un caldo pomeriggio di luglio e nella sala fresca ed oscura, sentivo lontane le domande di nonna sul mio viaggio.
Io le rispondevo appena con gli occhi agitati dalla ricerca.
Ogni suono, ogni forma diversa da quella che attendevo si affievoliva, ingigantendo l'immagine del mio desiderio.
Una sola domanda mi rimbombava nella testa, mi accelerava i battiti del cuore, mi saliva prepotentemente nella gola.
Una domanda che permeava la penombra della sala.
La domanda che nonna temeva.
La domanda che mamma sapeva.
La domanda che zio Bino aspettava:
"Dov'è Lila?"
Il silenzio che seguì mi scaraventò nella risposta che non volevo sentire.
Mi sentii dilatare in uno spazio senza uscite.
Imprigionato da una spirale nera che inghiottiva la mia felicità, gridai senza speranza:
"DOV'E' ?…".
L' agghiacciante silenzio non mi lasciò più scampo.
Lila era morta.
Non ho mai accettato che fosse vero, volevo che si fossero sbagliati tutti.
Arrivai perfino a convincermene e non volli mai credere che il suo ritorno fosse impossibile.
Non avevo una coscienza perfetta della morte. Era una cosa di cui avevo sentito parlare, ma che non mi era ancora arrivata veramente vicino. Non ne coglievo l’essenza definitiva che conobbi crescendo.
La nonna mi raccontò che nei primi giorni della mia assenza, Lila era tranquilla, ma che un giorno si allontanò…
...Per cercarmi…
Fu vista trotterellare sul ciglio della strada che conduceva alla mia casa.
Lungo il tragitto una macchina la investì, e qualcuno, trovando il corpicino esanime, la seppellì.
Nel campo, nel fosso: non lo seppi mai.
Andai a scavare con le mani qua è là sulla riva del fosso dove, dicevano, era avvenuto l'incidente.
Speravo in chissà quale sbaglio.
Speravo che quando l'avevano trovata sembrasse solo morta.
Speravo che fosse stata seppellita poco, per sbaglio e che le mie mani l'avrebbero liberata dalla terra sotto cui stava solo dormendo.
Non fu così.
Non trovai nulla.
Lila era scomparsa.
Per sempre.
Non avrei più giocato a nascondino la sera, e le mie giornate sarebbero state vuote.
Quando Gino mi parlava di Lila, un pianto irrefrenabile mi scuoteva il corpo e solo dopo molto tempo riuscii a controllarlo.
Un'amicizia assoluta era stata fisicamente stracciata.
Incomprensibilmente.
Da una natura che con inattaccabile indifferenza dà tutto e toglie tutto.
Epilogo
Sia la farina che il sacco erano dunque miei, caro professore.
Lo svolgimento era il tormentato frutto di un pomeriggio di lavoro nel silenzio della mia camera.
Non avevo un dolore più grande da copiare.
Il racconto era vero.
Le parole mie.
Anche la punteggiatura, a volte forse errata come tu, caro professore, avevi voluto farmi notare.
Superiori alle mie capacità non c'erano le parole, né la loro struttura, ma il legame che aveva unito la vita di un bambino a quella di una cagnetta mai più dimenticata.
Lila.
Libro
il racconto è inserito anche in questo libro cartaceo