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Premessa
Nel mio blog mi arrischio ad inserire anche le debolezze cromatiche che ogni tanto mi affliggono. L'incorporeità di internet e la sfrontatezza che mi deriva dall'essere l'admin di questo sito, mi hanno conferito un coraggio espositivo mai trovato nella vita reale, se non per una mostra sprint dell'autunno del 2005 di cui, quanto segue, è la cronaca nel mio diario asincrono.
Villa Nani-Mocenigo, Canda, 2 ottobre 2005
Nessuno colpito dalla sindrome di Stendhal...
Del resto le probabilità sono minime. In quaranta minuti sono cinque le persone che transitano nella sala dove sono esposti alcuni miei acrilici. Danno un'occhiata distratta, forse solo per evitare l'urto con l'intelaiatura dei pannelli.
Incontro un mio ex allievo. E' con un amico (o collega: non so).
"Prof." dice, "anche lei qui in visita alla mostra?"
"Beh, io qui ... espongo anche ... I miei quadri ... "
Penso che risponda incuriosito: "Ah sì', ma lei dipinge? Da quando? E quali sono?", magari aggiungendo: "Forse gli espressivi ritratti in quella stanza?"
"Ah, sì" risponde in effetti, senza aggiungere altro però. Butta lì invece qualche osservazione sulla villa, sulla bellezza degli affreschi, sul precario stato di manutenzione. Anche l'amico (o collega) che non aveva battuto ciglio alla notizia che ero lì come pittore, si lancia in analisi architettoniche e sociali che non saprei ripetere.
La loro indifferenza mi aveva fatto pentire della mia affrettata rivelazione. Non potevo impedirmi, ora, di pensare che il parlar d'altro fosse un modo per evitarmi un silenzio od un sorriso di compatimento. Mi capita spesso: parlo poco per minimizzare le gaffes; inutilmente. Anzi, sembra che nel silenzio pregresso la frase sbagliata si perfezioni, e poi esca spontanea ed irrimediabile.
Ho sempre avuto il timore che prima o poi avrei esposto le "mie opere". E' successo in questo inizio d'autunno.
Le mostre di paese, le uniche cui avrei potuto partecipare, mi sembravano solo speranze svanite o svanenti, insomma povere storie. Un inquinamento ambientale di immagini. "Troppe", pensavo e penso, "troppi pittori. Per comunicare che, poi? Sì, un'emozione a volte la si coglie, anche nella tecnica approssimata: quel tanto che basta però solo per mitigare uno sguardo patetico. Meglio non esporre le proprie debolezze".
Ma la coerenza assoluta è per pochi, la strada per by-passarla si trova. Si può ad esempio sostenere che è, sì, un valore, ma anche una trappola; l'incoerenza al contrario, può essere invenzione, creatività. Così ho cominciato con il fingere di credere d'aver sempre esagerato nella svalutazione delle "mie opere", (che altro non sono che esercizi di copia, o meglio tentativi, di foto mie e non.)
"Se anche non rivoluzionano l'arte non ho motivo di vergognarmi" mi sono detto. "Se rappresentano una debolezza, non sono una colpa."
Un po' almeno, desideravo esporle come, probabilmente, chiunque fa qualcosa.
Dipingere, quando ne ho voglia, è per me un passatempo rilassante, almeno quando riesco a dimenticare che non sono in grado di fare esattamente ciò che vorrei (che, pensandoci anche bene, non so nemmeno se lo so).
"Sì, ma quella è solo tecnica", posso obiettare a me stesso; "l'arte è comunicare, estendere agli altri una sensazione, un'idea, una visione del mondo. Ci vuole tecnica, ma non solo quella. Impressionismo, espressionismo, astrattismo, si sono svincolati dalla riproduzione del reale, per rendere visibile ciò che non lo è mai stato".
A volte mi dico: "Ma sì, insomma, mi sembrano accettabili"; altre: "Ma perché le ho fatte? Guarda quest'occhio: sarà pure di poco, è leggermente diverso dall'altro, un po' più alto, un po' più largo, un po' più smorto ... mi è venuto come ha voluto, ma non mi si è rivelato subito. Ed ora non ho né voglia né capacità di correggere; tanto non cambierà granché."
L'impulso allora è di bruciarle; qualche volta l'ho fatto, ma non sempre, ahimé, forse nella speranza che in futuro mi appaiano tollerabili, forse per un eccessivo autocompatimento.
E' così, ad ogni modo, che nascono i miei acrilici, ritratti di persone, animali, case e cose.
Insomma, artistiche o meno, anch'io ho finito per esporre le "mie opere".
Partecipare alla mostra non è stata del resto una una mia iniziativa, lo voglio precisare. Ho solo assecondato un'inaspettata proposta. Ho acquistato quindi un po'di cornici al Brico, quelle che si usano generalmente per foto o stampe, sia perché costano poco, sia per non dare l'impressione di voler attribuire ai quadri un'importanza che non hanno.
Ho scelto alcuni dei cartoni telati o con carta trattata per acrilici, o faesiti con una mano di cementite o di pittura murale come sottofondo, che ospitano "le mie opere", diciamo così, e le ho incorniciate.
Ad un certo punto Luca, la causa di tutto per la sua carica di assessore comunale, il datore di lavoro prima, amico poi, fidanzato ed infine marito di Serena, mi aveva detto che dovevo arrangiarmi per i pannelli cui appendere i quadri. Era un motivo più che sufficiente per rinunciare all'esposizione, ma poco dopo mi ha riferito che dei pannelli erano stati trovati.
Così, senza grande entusiasmo, venerdì mi reco in villa per un sopralluogo. Porto i quadri dentro alcune sporte di carta, infilate nel bagagliaio dell'Audi 80.
E' un pomeriggio di primo autunno con un sole limpido che tramonta presto.
Parcheggio l'Audi nel parco ed entro in villa.
Il fresco e l'umidità mescolati ai muri possenti ma abbandonati del piano inferiore, mi procurano un senso di desolazione di cui non sentivo il bisogno. Nello spoglio salone del piano superiore, dal pavimento sconnesso, una pittrice dispone le sue opere su piccoli cavalletti di bambù da lei stessa preparati. Mi avvicino e guardo, mentre lei si sposta di qua e di là, con passetti rapidi, inclina la testa e ritocca la posizione dei cavalletti per il più perfetto angolo visuale. Osservo le sue opere; ritratti e corpi di donna eseguiti con una tecnica infantile che si accontenta, e magari esulta, per come sono venuti, con colori che non cercano alcun volume ed alcuna verità. L'emozione che provo è un senso di pietà per l'ardente desiderio di mostrare se stessa che io, penso, vorrei nascondere. Ovviamente subito penso che la mia sensazione può essere la stessa che qualcun altro proverà guardando in silenzio i miei acrilici.
"Ecco", mi dico " sto esponendo in una collettiva dove io provo pena per un'anima semplice ed ingenua che mostra le sue nudità sentimentali".
Qualcun altro sta sistemando i suoi prodotti. Perché non è nemmeno una mostra d'arte, ma una mostra mercato di una sagra di paese. Frutta, verdura, oggetti decorati: carrioline di legno per i fiori, coppi dipinti (io a casa ho i bastoni!), bottiglie.
L'impulso è di rinunciarvi, ma un omone alto ed un po'curvo, penso ultrasessantenne, almeno spero perché lo giudico abbastanza più vecchio di me, dai lineamenti grossi, le dita callose di lavoratore nei campi, i denti sghembi, giallo-scuro ed incompleti, mi chiede se sono il pittore Mario. E' un membro della pro loco, sta accogliendo gli espositori e mi conduce nella sala dedicatami. Gli dico che non mi chiamo Mario e che sono un pittore per modo di dire. Sono insieme ad un artigiano del ferro battuto, mi informa. E mi indica i pannelli. Sono smontati. L'intelaiatura è di metallo, profilati a sezione quadrata smaltati di grigio. Le tavole sono di compensato grezzo, con macchie di muffa verdastre. Insieme li montiamo e li disponiamo lungo due pareti. Un po' a zig zag. Non ci sono i chiodi per appendere i quadri e neppure il martello. "Forse un martello ce l'ha l'elettricista al piano terra", mi dice.
Senza entusiasmo scendo, ma non chiedo nulla a nessuno.
Torno a casa per i chiodi e sono ancora indeciso se esporre o lasciar perdere.
"Ma ho già incorniciato i quadri", mi dico. Va be' che io mi chiedo sempre che senso ha quello che si fa, ma il perché mi capita di mostrare i miei quadri in questo modo mi sfugge. Forse perché è il massimo livello di mostra che posso pretendere? (Ma l'ho già fatta più sopra tale considerazione).
Torno alla villa con chiodi e martello, quando il sole sta già tramontando, forse proprio con la speranza di non poter esporre i miei quadri per il buio. Nella sala non c'è luce. Il rappresentante della pro loco mi assicura che l'elettricista, forse, installerà una presa volante perché c'è anche il mio co-espositore di ferri battuti che dovrebbe avere un lampadario da far vedere: sono fortunato.
Rimando la decisione al giorno successivo. E' bello avere un domani a cui rimandare!
Ritorno sabato pomeriggio verso le tre e mezza. Devo piantare alcuni chiodi. Dovrei farcela entro le cinque, ora prevista per l'inaugurazione della mostra mercato.
All'ingresso del parco della villa un solerte vigilante della pro-loco mi blocca.
"Non si può entrare" mi dice, " perché fra poco ci sarà l'inaugurazione".
"Ma io sono uno degli espositori", replico sorpreso.
La situazione un po' paradossale, mi diverte (ed anche no). "E' la ciliegina sulla torta della mia prima mostra" penso; "mi si impedisce di esporre i miei quadri! Ma sì, forse ne hanno tutte le ragioni!"
Ad un certo punto però, non ricordo più bene per quale motivo, il vigilante con la bandiera e la fascia al braccio mi fa passare. In un quarto d'ora pianto i chiodi sui pannelli ed espongo le "mie opere".
Poi mi dileguo.
Non assisto all'inaugurazione.
Serena mi ha riferito che mi cercavano, ma le credo poco.
Domenica mattina osservo se qualcuno guarda i quadri. L'ho scritto all'inizio: cinque persone in circa quaranta minuti.
Ad ogni modo la situazione è più allegra dei due giorni precedenti; più ricca, più movimentata. Ci sono espositori di prodotti locali: salami, mele, patate americane, formaggi, funghi, vini.
E c'è un intarsiatore del mio paese, le cui creazioni con temi sacri, sono molto gradevoli.
C'è anche una nuova pittrice, tra il geometrico e l'informale, dai colori accesi.
Dopo un pallido sole il cielo però si fa plumbeo e, nel pomeriggio piove parecchio. La sera arriva presto e poco dopo il rientro a casa (nonostante la pioggia ero stato alla mostra con Giovanna, Fabio e Marisa come followers), mi arriva la telefonata di Serena. La mostra sta smobilitando. Tutti stanno ritirando le loro cose. E' meglio se anch'io lo faccio, anche per evitare un eventuale furto notturno. Sorrido un po' pensando al titolo sul Gazzettino: "Furto di opere d'arte in Villa Nani-Mocenigo!"
Ritorno con Marisa che si offre di aiutarmi. Quasi non c'è più nulla nelle stanze della villa. Tutti si affrettano sotto la pioggia luccicante e gelida, a riempire macchine e furgoni.
Rimetto i miei quadri nelle sporte di carta. Marisa, Serena e Luca, mi aiutano a depositarli nel bagagliaio dell'Audi parcheggiata in piazza, a un centinaio di metri dalla villa.
La mia prima mostra si è conclusa. Una mostra sprint. Una ventiquattrore, notte compresa. Serena mi parla di complimenti ricevuti. "A chi non saranno stati fatti", penso. Dice anche che mi cercavano per consegnarmi l'attestato di partecipazione che Luca mi consegna. E' il riconoscimento ottenuto. Del resto ricordando il guardiano con la bandiera, devo ammettere che non è poco.
Marisa vuole che sia entusiasta. Lei lo è sempre per qualsiasi cosa. Se non c'è alcuna ragione per esserlo, la inventa a costo di raccontarsi una bugia.
Mi chiede qual è la mia opinione sulla mostra.
"E' stata un successo" dico.
Ad ogni modo è un evento che genera un ricordo nel mio, altrimenti troppo piatto, susseguirsi dei giorni.
Significa qualcosa tutto questo?
Cioè con questa specie di racconto cosa voglio dire?
"Non lo so", direbbe l'assessore Palmiro Cangini."Però i fatti mi cosano" concluderebbe.
Palmiro Cangini non c'entra nulla, è vero.
Ma anche se con intenzioni diverse, io mi faccio quella domanda. Insieme alle altre famose ed insolubili, di "quelli della notte: " Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? "
A che velocità ci andiamo? aggiungerà Altan in una vignetta su una Repubblica del successivo mese di dicembre.
Anche questo non c'entra nulla evidentemente
Sono pure assonanze.
Del resto a chi può interessare?
Alcune delle "mie opere"